La carriera musicale di Seamus

Annata impegnativa il 1971 per i Pink Floyd: successi commerciali e date programmate fino al 1973 per molti concerti live. Eppure il 30 ottobre, negli Stati Uniti pubblicarono il loro album Meddle, un evidente ritorno al rock dopo sperimentazioni ardite e incursioni nel blues e nel folk.
Qualcosa di speciale contraddistinse comunque anche questo lavoro: infatti, l’ultimo brano della facciata A contemplava nientemeno che un cantante d’eccezione: Seamus, un delizioso cane tra i molti di Steve Marriott – membro degli Humble Pie – che per lavoro si trovava negli USA, affidato alle amorevoli cure di Dave (David Jon Gilmour, che dal 1968 al 1995 fu il chitarrista e cantante dei Pink Floyd – N.d.R.), che lo portava con sé nello studio di registrazione.
Ebbene sì, Seamus cantava (ululava, insomma), non appena Dave tirava fuori un’armonica o la sua chitarra (a seconda delle versioni del racconto) e iniziava a suonarla. I quattro decisero così non solo di inserire i latrati di Seamus, che ‘diede il la’ a una canzone blues, ma anche di intitolarla con il suo stesso nome.

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Il testo (sei versi cantilenanti) è piuttosto essenziale, ma la suggestione creata dall’abbaiare dei cani è notevole. Solo alla fine, si comprende in realtà che stava piangendo.
Seamus (1971)
I was in the kitchen 
Seamus, that’s the dog, was outside 
well I was in the kitchen 
Seamus, my own hound, was outside 
well you know the sun was sinking slowly 
and my own hound-dog sat right down and cried.

Traduzione

Ero in cucina
Seamus, il cane, era fuori.
Così, ero nella cucina,
Seamus, il mio Levriero, era fuori
così, sapete, il sole affondava lentamente
e il mio Levriero si sedette a terra e pianse.
L’unica versione live venne eseguita nell’anfiteatro romano di Pompei, concerto che divenne poi un film: Pink Floyd Live at Pompei, con la regia di Adrian Maben.
Si ricorda anche una variazione di Seamus, grazie alla partecipazione di Nobs, la femmina bianca di levriero russo di Roger Waters.
Accompagnò la melodia con la classe di un’autentica solista, stesa sul palco con qualcuno che le teneva il microfono davanti al muso.
Quegli intonatissimi ululati furono così apprezzati che i Pink Floyd modificarono il titolo in Modamoiselle Nobs.

di Chiara Rossi