Lilli e il vagabondo

Per i nonni che sono impegnati nell’ affannosa ricerca di una nuova favola per i nipotini, ecco un piccolo vademecum.

“Nonno, nonno! Voglio una storia … Sai che non dormo se tu non mi racconti una favola di Gelsomina.”
“Ma la favola di Gelsomina è finita e il nonno ha esaurito tutta la sua fantasia … Però adesso mi viene in mente … ti racconto la storia di Lilli e il Vagabondo. Spero di ricordarmela tutta.

Lilli era una cuccioletta cocker che viveva felicemente presso un’agiata famiglia inglese. Biagio invece era un meticcio che viveva alla giornata, alla perenne ricerca di cibo, tenendosi alla larga dall’ accalappiacani.
La vita spensierata di Lilli cambiò radicalmente quando un bimbo nacque nella famiglia dove abitava.
“Non capisco cosa sia successo. Non so perché tutte quelle attenzioni per un pupazzo che non fa altro che piangere … Però fa tanta tenerezza …” Così pensava Lilli, ma si era resa conto di non essere più al centro dell’attenzione familiare.
“E se provassi a scappare?” Così decise di andarsene da casa. Ma dove? Girò per la città e incontrò cani che non aveva mai visto, ma allegri, spensierati e liberi.
“Guarda la signorina” disse un cane sconosciuto, grande e grosso e con le orecchie a sventola.
“Lasciala in pace – ribattè un altro – non vedi che l’hai spaventata? Vieni piccola, io mi chiamo Biagio; andiamo a fare un giro”.
Corsero un bel po’ nei boschi e sui prati della città e sul retro di un bar trovarono un piatto di spaghetti avanzati
“Guarda che bello! Per questa sera è fatta!” disse Biagio con tono convincente.
“Ma io non ho mai mangiato quella robaccia!”
“Non ti preoccupare, se non ti va la magio tutta io.”
Lilli assaggiò uno spaghetto:
“Non mi sembra male, ma è difficile mangiare gli spaghetti.”
“Vieni che ti insegno io.”
Dopo un po’, però, Lilli disse che aveva freddo e pensava che forse era più bello dormire sui cuscini della sua cameretta.
“Andiamo, ti accompagno a casa “disse Biagio.
Camminarono come due innamorati e a casa, entrati nella sala, videro un topaccio sulla culla del bambino.
“Su , dai, fa qualcosa “ disse Lilli.
“Non ti preoccupare, per fortuna ci sono qua io!” rispose Biagio e con un balzo afferrò il topo uccidendolo.
Purtroppo nel trambusto la culla si rovesciò e il bambino cadde, piangendo disperato. Ovviamente arrivò subito la zia, notoriamente poco amante degli animali.
“Ti ho sorpreso, bestiaccia. Adesso ti sistemo io … al canile.”
“Io volevo solo prendere il topaccio” sembrava voler dire il cane, ma non ebbe il coraggio di parlare.
Tuttavia Lilli, che, come tutte le donne, sapeva districarsi nelle situazioni difficili, portò i genitori del bimbo a vedere il topo morto.
“E’ chiaro … è stato quel cagnaccio ad uccidere il topolino.”
“Chiamalo topolino … se morsicava il bimbo … “concluse la mamma mentre accarezzava Biagio che aveva rischiato di finire al canile.

Così Biagio, perdonato da tutti, entrò a far parte della sua nuova famiglia.
E vissero a lungo felici e contenti con tanti piccoli cuccioli.

“Anche questa è fatta” pensò il nonno, mentre la nipotina dormiva già.
“Il seguito lo terrò per domani sera”.

Marco Redaelli Spreafico

Liberamente tratto da Lilli e il Vagabondo, un cartone animato del 1955 della Walt Disney campione di incassi e ricco di significati

/cà·ne/ nel mondo

Si noti che già anche nell’antica Roma canis designava per traslazione una persona vile o spudorata.
La parola catulus era la stessa usata per molti cuccioli, non solo di cane. In Grecia il termine per il nostro amico peloso era κύων –ku(o)n kunòs (anche canaglia deriverebbe da qui).

Gli anglofoni lo chiamano dog; chien (chienne al femminile) i francofoni; Hund (Hündin se femmina) i tedeschi, i danesi (hunhund al femminile), i norvegesi e gli svedesi, ma hond gli olandesi; perro gli spagnoli, cão (cadela al femminile) i portoghesi; köpek i turchi, sag i persiani. In Grecia, cane è σκύλος, scritto come skýlos, dove la ‘y’ è pronunciata con un suono ‘ee’.

Tra i nativi americani ogni tribù ha un vocabolo specifico per menzionare il cane: per esempio, in lingua apache è góshé, ma in cherokee gi tli, mentre in cheyenne hotame, oeskeso.

I russi e gli ucraini per dire cane usano собака  – sobaka –, che indica anche la @ perché a loro sembra assomigliare al naso del cane. E nel subcontinente indiano? Il cane è un कुत्ता, scritto come kutta, dove la ‘u’ è pronunciata come ‘oo’.

Buongiorno, cani, ciao

Buongiorno, cani, ciao
cagnolini cagnolini cagnazzi
misterioso dono della
Incantevoli compagni di viaggio
che ci fissate negli occhi
con esagerata.
Belli come boschi come il vento
girano su e giù per la casa
come fiumi come rupi
come nuvole innamorate.
Belli quando ronfate
fate bave spazzate immondizie.
Egoisti, sporchi, noiosi
rompiscatole, puzzolenti, ingordi,
sudicioni, petulanti, tangheri,
Dio vi benedica.

La vita di Dino Buzzati venne rallegrata dalla presenza di otto adorati cani con cui ebbe un’intesa particolarmente profonda e consolidata.
Questi animali si ritrovano spesso nei suoi dipinti e nella sua narrativa, in cui ricoprono i ruoli di veri e propri protagonisti, capaci di esaltare e mettere in evidenza le contraddizioni e i difetti di noi umani.

“Grande cane in piazza in una giornata di sole”, 1969. Dino Buzzati

Il cane e l’osso

Poldo era un cane vecchio e malandato; era andato dal macellaio del paese ed era riuscito a farsi dare un osso bello e con tanto grasso.
“Questo me lo prendo e lo porto nella mia tana nel bosco per mangiarlo in tranquillità. – pensò – Io non sono come il mio povero amico Zac che è costretto a mangiare crocchini e petti di pollo.”
Lungo la strada, passando su di un ponticello sopra un fiumiciattolo, vide riflesso nell’ acqua un altro cane con in bocca un osso buono e invitante come il suo.
“Due ossi sono meglio di uno! – pensò – Sì, sì, mi prendo anche quello …”.
Subito entrò col muso nell’ acqua cercando di afferrare l’altro osso, ma così facendo aprì la bocca, perse la preda che prima teneva tra i denti e in più si trovò con il muso sporco di acqua limacciosa.

La favola insegna che chi tropo vuole, nulla stringe.

(dalle Favole di Esopo e Fedro )

Marco Redaelli Spreafico

Ti accompagno a teatro

La Psicologia sociale è la disciplina a forte componente sperimentale che si occupa di studiare i processi di socializzazione e di interazione sociale.
Il suo oggetto di studio è il comportamento umano, ma si vuole qui portare all’attenzione su un interessante social experiment che ha visto protagonisti alcuni cani addestrati dal canadese K-9 Country Inn Working Service Dogs (un programma indipendente di addestramento e accreditamento per cani da servizio) per diventare cani guida specializzati in programmi di primo soccorso e/o di sostegno a persone con disabilità o con disturbi post-traumatici.

Era l’estate 2019.

Location dell’esperimento è stato nientemeno che un teatro di Stratford (Ontario, Canada, in cui si svolge un celebre Festival di drammi contemporanei e musical): pubblico speciale quello dei cani tirocinanti che, senza distrarsi, ha assistito ‘in forma privata’ al musical Billy Elliot.

Lo scopo? Esercitarsi ad accompagnare a teatro o a manifestazioni in presenza di molte persone i loro proprietari, portatori di qualche difficoltà. Tale specifico «allenamento» ha permesso agli istruttori di mettere alla prova la capacità dei cagnolini di mantenersi vigili e attenti all’interno di una situazione non ordinaria quale è uno spettacolo teatrale, in cui si alternano moltissimi stimoli veloci sotto forma di luci anche intense, suoni, rumori e buio.
Una scuola di buone maniere insomma (agli animali era richiesto di saper restare rilassati, in uno spazio definito, e composti per lungo tempo), per una missione più che seria e impegnativa, anche se l’immagine che ritrae il gruppo dei pelosi in platea è decisamente divertente.
Pochi sono stati quelli che hanno schiacciato un pisolino, per lo più tutti hanno seguito lo spettacolo concentrati e in silenzio.

Morale: dai cani abbiamo sempre da imparare, anche a godere di uno spettacolo a Teatro.

di Chiara Rossi